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Pubblicato il 08 Aprile 2025
L'illuminotecnica nella produzione torinese dell'opera di Chajkovskij gioca un ruolo... registico
Dama scolpita dalla luce
servizio di Simone Tomei
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TORINO - Il Teatro Regio ha riportato in scena La dama di picche di Pëtr Il'ič Chajkovskij, in una nuova coproduzione con la Deutsche Oper di Berlino. L'opera si è rivelata un'autentica descente aux enfers, un'immersione nelle zone più oscure e tormentate dell'animo umano. L'allestimento, ideato da Graham Vick e portato a termine con sensibilità da Sam Brown, ha ampliato la portata del lavoro del predecessore, offrendo un'esplorazione lucida e spietata delle ossessioni che ci consumano. Fin dalle prime scene lo spettatore viene proiettato in un'atmosfera onirica e perturbante. Dimenticata la solita San Pietroburgo da cartolina, quello che si dispiega davanti agli occhi dello spettatore è un paesaggio mentale claustrofobico, dominato da colori innaturali e da una pervasiva sensazione di straniamento. Persino il Giardino d'estate, tradizionalmente cuore pulsante della vita sociale, appare qui trasfigurato in un simulacro, allegoria di una realtà interiore distorta e inquietante. In questo contesto, Hermann, figura già di per sé marginale ed esclusa, diviene l'emblema di una solitudine abissale: Chajkovskij sembra suggerire che l'inferno è soprattutto la solitudine dell'uomo di fronte al proprio destino. Le scene ed i costumi di Stuart Nunn si distinguono per una notevole coerenza visiva e per la ricchezza di dettagli simbolici che arricchiscono la narrazione. La scena fonde con audacia elementi di un presente alienato, fatto di geometrie fredde e luci al neon, con reminiscenze di un Settecento decadente, quasi rococò, ma filtrato attraverso una lente distorta e a tratti grottesca.
  
I bambini-soldato, automi in miniatura nel primo quadro, incarnano una feroce critica all'indottrinamento e all'omologazione, prefigurando l'emarginazione e la disumanizzazione del protagonista. Le fotografie di Liza, moltiplicate ossessivamente come in un museo privato, diventano la rappresentazione tangibile di un amore che da passione si trasforma in morboso possesso, in una vera e propria ossessione totalizzante. Il suicidio di Liza si configura come un momento di teatro puro, una scena di struggente intensità che si imprime indelebilmente nella memoria dello spettatore. La drammatica sequenza, articolata su diversi livelli spaziali – la banchina, il ponte, le scalinate – sottolinea la distanza incolmabile tra i due protagonisti, prigionieri di mondi interiori inconciliabili. Hermann, ormai completamente consumato dalla sua ossessione per il gioco e per il feticcio delle carte, è sordo al richiamo dell'amore, mentre Liza, intrappolata in un destino tragico, cerca invano una redenzione impossibile, un modo per sfuggire al tragico fato che incombe su di lei. Se l'impianto registico si distingue per la sua indubbia forza espressiva, non tutto però convince pienamente: il ballo in maschera, trasformato in un'orgia esplicita, rischia di appesantire un momento già di per sé potente. Qui il Settecento pop, evocato attraverso eccentriche parrucche e luci stroboscopiche, suggerisce efficacemente il delirio collettivo, ma l'esplicita rappresentazione della sessualità introduce una nota di pesantezza - ai limiti di una volgarità non necessaria - che incrina parzialmente l'equilibrio complessivo. Si tratta, tuttavia, di una concessione isolata in un disegno registico che si distingue per lucidità e compattezza.


Un plauso particolare merita il lavoro di Linus Fellbom sul fronte illuminotecnico. La luce, in questo allestimento, non è un semplice elemento scenografico, ma diviene un vero e proprio linguaggio emotivo che isola, scolpisce e divide. È la luce a separare inesorabilmente Hermann dalla festosa vitalità della società che lo circonda, a moltiplicare l'immagine della Contessa, rendendola una presenza ossessiva e pervasiva. In questo modo, la regia si fa acuta indagine dell'inconscio, con tutte le sue reincarnazioni, le sue proiezioni e i suoi inquietanti ritorni. La forza di questo allestimento, a mio avviso, risiede nella sua capacità di essere fedele non alla lettera, ma allo spirito più profondo dell'opera chajkovskijana. La dama di picche non è semplicemente una storia gotica o un'opera di un compositore sull'orlo di una crisi nervosa, è una tragedia simbolista che anticipa temi cruciali come l'alienazione dell'individuo nella società moderna, la dipendenza patologica e la paura dell'irrilevanza. È la storia di un uomo che tenta di piegare il caso al proprio volere e che viene inesorabilmente travolto dalla necessità. Le tre carte, inizialmente percepite come promessa di potere e ricchezza, si trasformano ben presto in uno strumento di dannazione. La Contessa – madre, amante, regina, spettro – incarna la figura ineluttabile del destino. E la musica struggente e appassionata di Čajkovskij ci accompagna in questo viaggio nel cuore della tenebra. Al termine della rappresentazione lo spettatore è pervaso da un senso di vertigine e di vuoto. Hermann, immobile nella sua rovina, è l'immagine desolante che ci portiamo via dal teatro: un uomo che ha perso tutto e che, in fondo, non ha mai posseduto nulla di veramente significativo. Diventiamo quindi testimoni impotenti di questa tragedia, ci scopriamo inquieti e turbati nel profondo, toccati da un'opera che non offre facili consolazioni ma che ci costringe a confrontarci con le nostre fragilità e le nostre paure più recondite. La dama di picche è un esempio emblematico della straordinaria capacità di Chajkovskij di fondere in modo originale tradizione e innovazione. Accanto a evidenti richiami al classicismo mozartiano, che si manifestano soprattutto nelle scene di corte e nei balli, emergono soluzioni armoniche di grande audacia e una scrittura orchestrale densa e poliedrica. L'uso sapiente dei leitmotiv per rappresentare i tormenti interiori di Hermann e l'ineluttabilità del destino si rivela particolarmente efficace: il tema della Contessa, ad esempio, ritorna ciclicamente, sottolineando la presenza costante e opprimente della sua figura nella psiche del protagonista, quasi un'ossessione che lo divora dall'interno. Sul podio il giovane maestro Valentin Uryupin si conferma direttore d'orchestra di razza, guidando l'Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino con una lettura appassionata e rigorosa della partitura chajkovskijana. Uryupin si dimostra interprete raffinato e profondo, capace di accendere la miccia emotiva della partitura, esplorando ogni anfratto e rivelando sonorità particolari e preziose. La sua direzione non si limita a una corretta esecuzione ma scava nei meandri della composizione, evidenziando la modernità di un'opera che, pur radicata nella tradizione, sperimenta audacemente con il linguaggio musicale. L'agogica, sempre appropriata, asseconda con naturalezza le tensioni drammatiche e i momenti di lirismo struggente, conferendo alla narrazione un ritmo incalzante e coinvolgente. L'equilibrio che Uryupin instaura tra le diverse sezioni orchestrali è mirabile: gli archi vibranti, i fiati incisivi e le percussioni pulsanti concorrono a creare un tessuto sonoro ricco di sfumature cangianti, che sostiene e amplifica le voci dei cantanti esaltandone le qualità espressive. Anche il coro, preparato con grande precisione dal M° Ulisse Trabacchin, si inserisce perfettamente in questo affresco musicale, contribuendo con la sua potenza espressiva a delineare il senso di fatalità ineluttabile che incombe sui protagonisti. Ottimo anche il coro delle voci bianche preparato e diretto dal M° Claudio Fenoglio.


Nel ruolo di Hermann il tenore Michail Pirogov offre un'interpretazione intensa e tormentata, dando voce alle ossessioni del personaggio con una vocalità potente e ricca di sfumature espressive. Pirogov non si limita a cantare il ruolo ma lo vive visceralmente, trasmettendo al pubblico ogni sfumatura del proprio tormento interiore. La sua voce, ricca di armonici e di una potenza che sembra non conoscere limiti, è capace di passare dal lirismo più struggente a esplosioni di rabbia e disperazione con una naturalezza disarmante. Delinea con precisione la parabola discendente del protagonista, dalla passione amorosa e dalla speranza di una vita migliore alla follia autodistruttiva e alla consapevolezza del fallimento. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni inflessione della voce contribuisce a costruire un ritratto di un uomo dilaniato dalle proprie contraddizioni, schiacciato da un destino ineluttabile. Il suo Hermann non è solo un folle ma un essere umano complesso e tragico, capace di suscitare nello spettatore ora pietà, ora repulsione, ma sempre un profondo coinvolgimento emotivo conferendo al personaggio una statura tragica di grande impatto emotivo. Zarina Abaeva, nei panni di Liza, incarna con grazia e sensibilità la fragilità e l'innocenza della giovane donna, divisa tra amore e senso del dovere. Se la sua vocalità, a mio avviso, non è ancora del tutto matura per affrontare appieno le sfumature più drammatiche del ruolo, l’Abaeva sa risolvere comunque con grande professionalità i passaggi più intensi e drammatici, dimostrando musicalità ed intonazione impeccabili. La sua interpretazione attoriale di contro rivela una notevole maturità artistica, che le consente di delineare con efficacia il tormento interiore del personaggio e la sua struggente umanità. Lungi dall'essere la decrepita figura descritta dal libretto, la Contessa di Jennifer Larmore si rivela una vera diva cinematografica. L'intuizione registica, che la dipinge come un incrocio tra Ute Lemper e Marlene Dietrich, esalta la sua presenza scenica. La Larmore, con la sua voce scura e piena, dal timbro inconfondibile, potente e sostenuto, cesella ogni sfumatura del personaggio. Si percepisce in ogni gesto e sguardo l'eco di un passato glorioso, di una bellezza che ha sedotto e dominato, e che ora, nel crepuscolo della vita, si trasforma in un'arma di seduzione e potere. La Larmore incarna i capricci di una gran dama annoiata. Non è solo la voce a sedurre, ma l'intera presenza scenica: il portamento altero, lo sguardo intenso e penetrante, l'arte di ammaliare con un gesto, un sorriso, una parola sussurrata. In questa Contessa il declino fisico è trasceso da una forza interiore indomita che la rende ancora più pericolosa e affascinante. Accanto alla triade dei protagonisti il resto del cast non è da meno. Il baritono Elchin Azizov conferisce al Conte Tomskij un'eleganza vigorosa e una presenza scenica incisiva. Il Conte Tomskij è un personaggio chiave nell'economia dell'opera, non solo per il suo ruolo di confidente e consigliere del protagonista ma anche per la sua capacità di incarnare l'aristocrazia russa del tempo. Azizov, con la sua presenza scenica imponente e la sua voce ricca di sfumature, riesce a delineare un ritratto complesso e affascinante di questo nobile. La sua eleganza non è solo esteriore, fatta di gesti raffinati e portamento altero, ma anche interiore, frutto di una profonda consapevolezza del proprio status e del proprio ruolo nella società. La sua interpretazione sottolinea come Tomskij sia, in fondo, l'antitesi di Hermann: un uomo perfettamente integrato nel suo mondo, sicuro di sé e del proprio fascino, ma anche capace di una certa qual spietatezza e di un cinismo disincantato. Vladimir Stoyanov, nel ruolo del Principe Eleckij, tratteggia un personaggio dall'eleganza malinconica, lasciando trasparire la purezza del suo amore per Liza. In questo contesto, è doveroso sottolineare come Stoyanov gestisca il ruolo con una vocalità sempre a fuoco, grande eleganza di fraseggio, legato impeccabile e intonazione perfetta, qualità che contribuiscono a delineare un ritratto di nobiltà d'animo e di sincero affetto. Il mezzosoprano Deniz Uzun offre una performance raffinata nel ruolo di Polina, amica di Liza, impreziosendo la scena con il suo timbro vellutato e la sua musicalità espressiva.

Completano efficacemente la compagnia di canto Ksenia Chubunova (la Governante), Alexey Dolgov (Chekalinskij), Joseph Dahdah (Chaplickij e il Maestro di cerimonie), Irina Bogdanova (Maša), Vladimir Sazdovski (Surin), Viktor Shevchenko (Narumov) e Luca Degrandi (la voce bianca del Piccolo comandante), tutti allineati su un livello di eccellenza che testimonia la cura e l'attenzione dedicate alla realizzazione di questa produzione. Teatro gremito in ogni ordine e grado; applausi sentiti per tutti. (La recensione si riferisce alla recita di domenica 6 aprile 2025)
Crediti fotografici: Mattia Gaido per il Teatro Regio di Torino Nella miniatura in alto: il tenore Michail Pirogov (Hermann) A centro, in sequenza: ancora Michail Pirogov; Zarina Abaeva (Liza); Jennifer Larmore (Contessa); scena con i tre protagonisti principali Sotto, in sequenza: panoramiche sui più significativi quadri della Dama di picche di Chajkovskij e sulle luci dell'allestimento torinese curate da Linus Fellbom
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Pubblicato il 10 Febbraio 2025
L'opera capolavoro di Umberto Giordano e Luigi Illica trionfa anche a Genova
Uno Chénier dalla travolgente energia
servizio di Simone Tomei
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GENOVA - Uno spettacolo che coniuga eleganza e incisività visiva, nitidezza narrativa e varietà stilistica: Andrea Chénier di Umberto Giordano al Teatro Carlo Felice si conferma un trionfo senza riserve. La regia di Pier Francesco Maestrini, già apprezzata nei prestigiosi allestimenti di Bologna e Monte-Carlo, si distingue per la sua fedeltà alla drammaturgia del libretto di Luigi Illica e per l’abile sfruttamento delle risorse sceniche. L’imponente lavoro di Nicolás Boni per le scenografie e le proiezioni, unito ai raffinati costumi di Stefania Scaraggi, crea un impianto visivo di straordinaria potenza espressiva. La cornice dorata del primo atto introduce lo spettatore nel fasto dell’Ancien Régime, prima che il tumulto della Rivoluzione francese trasformi il palcoscenico in un susseguirsi di affreschi dinamici e travolgenti, fino all’epilogo segnato dall’incombente sagoma della ghigliottina. L’utilizzo del green screen, come dichiarato dallo stesso Maestrini, ha permesso una fusione magistrale tra videoproiezioni e azione scenica, restituendo con vivida immediatezza l’atmosfera di tensione e terrore della Parigi rivoluzionaria. Il risultato è quello di un’esperienza teatrale immersiva, capace di coinvolgere il pubblico con immagini di forte impatto e una regia che esalta, senza sovraccaricare, il dramma musicale di Umberto Giordano.


Sotto la direzione esperta del M° Donato Renzetti, l'Orchestra del Teatro Carlo Felice ha offerto una performance impeccabile, caratterizzata da una coesione straordinaria e da una sonorità avvolgente che ha saputo dialogare perfettamente con il palcoscenico. Renzetti ha messo in risalto la ricchezza timbrica della partitura, mantenendo un delicato equilibrio tra le sezioni orchestrali e sostenendo con grande sensibilità le voci dei solisti. La sua lettura ha reso giustizia alla drammaticità e alla bellezza di Andrea Chénier, riuscendo a trasmettere l’energia travolgente e l’impeto rivoluzionario che pervadono l’opera, senza mai sacrificare la precisione e la raffinatezza. L’insieme orchestrale ha creato un impasto sonoro ricco e dinamico, valorizzando ogni sfumatura musicale e ogni colore timbrico, e offrendo al pubblico un'esecuzione solida e coinvolgente che ha esaltato pienamente la potenza emotiva di questo capolavoro verista. Il Coro del Teatro Carlo Felice, preparato con la consueta cura da Claudio Marino Moretti, ha dato prova di straordinaria compattezza e partecipazione scenica. La sua presenza ha arricchito il tessuto drammatico dell’allestimento, con interventi calibrati e una resa vocale di grande impatto.


Nel ruolo eponimo, Fabio Sartori ha offerto una performance vocalmente solida e autorevole conquistando il pubblico con un timbro limpido e ben proiettato, una linea vocale pulita e una tecnica salda. Dalla celebre Un dì all’azzurro spazio a Come un bel dì di maggio, ha affrontato la partitura con sicurezza e naturalezza, sostenuto da un registro acuto brillante e da uno squillo nitido e penetrante. La voce, omogenea su tutta l’estensione, ha mantenuto fluidità e controllo per l’intera durata dell’opera. Musicalità e intenzioni interpretative hanno trovato il giusto equilibrio, grazie a un fraseggio sempre accurato. Il soprano Valentina Boi, chiamata a sostituire all’ultimo momento Maria José Siri, indisposta, ha vestito i panni di Maddalena di Coigny con determinazione e autorevolezza, mettendo in luce una voce dal timbro caldo e avvolgente, una tecnica solida e un’eccellente omogeneità tra registri. Dopo un inizio giustamente prudente, ha rapidamente conquistato il palcoscenico, esprimendo con intensità il dramma del personaggio. La sua esecuzione di La mamma morta è stata uno dei momenti più alti della serata, con una linea di canto scolpita e un controllo impeccabile dell’emissione. Il duetto finale tra Andrea Chénier e Maddalena di Coigny si è rivelato un momento di straordinaria intensità emotiva. I due artisti hanno saputo infondere in questa scena una potenza drammatica unica, con una sinergia vocale perfetta che ha unito le loro voci in un abbraccio appassionato e struggente. La limpidezza e la forza del timbro di Sartori, combinata con la calda espressività della Boi, hanno reso il duetto un’apoteosi di emozione e poesia, con ogni nota e gesto che trasmettevano la forza dell’amore tra i due innamorati. Stefano Meo ha vestito i panni di Carlo Gérard con autorevolezza, trasmettendo in maniera efficace la complessità di un personaggio intrappolato tra servitù e ribellione, ambizione e integrità morale. La sua interpretazione è stata intensa, volta a valorizzare le sfumature psicologiche del personaggio grazie ad una voce salda e ad una resa scenica introspettiva. Nel primo atto l'aria Son sessant'anni è stata eseguita con una profonda intenzionalità e autorità che ne hanno catturato l'essenza drammatica. Il fraseggio scolpito e l'intenzione emotiva hanno reso il personaggio di Gérard particolarmente vivido. Il culmine della sua performance è stato il celebre Nemico della Patria?!, eseguito con una straordinaria autorità e precisione. La sua interpretazione ha messo in evidenza una padronanza tecnica e una spiccata sensibilità che è stata poi mantenuta nel drammatico duetto con Maddalena.


Questa produzione si è distinta anche per la straordinaria qualità - salvo alcuni distinguo - dei personaggi di fianco: Manuela Custer, nel ruolo di Madelon, ha conferito al personaggio profondità e dolenza uniche. Accanto a lei, Cristina Melis ha brillato nel ruolo della Mulatta Bersi, con una vocalità incisiva e una personalità scenica di grande impatto. La sua interpretazione, intensa e vibrante, ha dato vita a un personaggio tanto misterioso quanto affascinante, riuscendo a rendere al meglio le sue contraddizioni e sfaccettature. Siranush Khachatryan, nel ruolo della Contessa di Coigny, ha avuto una performance deludente, con una voce poco incisiva e spesso incerta, priva della necessaria forza per il ruolo, mentre Nicolò Ceriani ha interpretato Roucher con voce tonante, giuste intenzioni ed eccellente presenza scenica. Matteo Peirone (Fléville), Marco Camastra (Fouquier Tinville), Luciano Roberti (Mathieu) hanno reso i loro personaggi con grande professionalità, dando vitalità e dinamismo alle rispettive figure. Le interpretazioni di Didier Pieri (Un Incredibile), Gianluca Sorrentino (L’abate), Franco Rios Castro (Il maestro di casa), Angelo Parisi (Dumas) e Andrea Porta (Schmidt) sono state altrettanto apprezzate, arricchendo l’opera con sfumature e dettagli significativi. In particolare Didier Pieri ha messo in luce una voce nitida, caratterizzata da un’emissione chiara e cristallina, che ha saputo conferire al suo personaggio una bellezza vocale e un’ottima precisione tecnica. A completare il successo dell’allestimento, i giovani danzatori della Fondazione “For Dance” ETS, diretti da Silvia Giordano, hanno saputo portare una nuova energia sul palco. La coreografia, dinamica e perfettamente integrata con la musica e l’azione scenica, ha aggiunto una dimensione visiva intensa, con movimenti che hanno saputo enfatizzare l’intensità drammatica e la bellezza musicale dell’opera. Successo entusiasta per tutti. (La recensione si riferisce alla recita di domenica 9 febbraio 2025)
Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il tenore Fabio Sartori (Andrea Chénier) Sotto, in sequenza, panoramiche sull'allestimento: le danze in casa della Contessa di Coigny, l'incendio della rivoluzione, il processo a Chénier
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Pubblicato il 20 Gennaio 2025
Il direttore Renato Palumbo e il cast contribuiscono a un'edizione memorabile dell'opera di Verdi
La Moreno grande Traviata
servizio di Simone Tomei
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GENOVA - Continua a riscuotere un grande successo di pubblico la stagione operistica del Teatro Carlo Felice con il quarto titolo in cartellone che rappresenta uno dei capolavori assoluti del repertorio lirico, nonché l’opera più rappresentata al mondo: La Traviata di Giuseppe Verdi. Inserire Traviata in stagione si è rivelata una scelta vincente. A oltre 170 anni dal debutto, l’opera di Verdi continua a emozionare e coinvolgere il pubblico, anche quello genovese presente in numerose recite che hanno registrato il tutto esaurito, confermandone il fascino di quest'Opera senza tempo. Nell’allestimento di Giorgio Gallione il sipario si alza e una fredda luce si riversa sulla scena, tagliente e immobile. È il Dottor Grenvil a introdurci in un mondo che già da subito si mostra come un limbo irreale, un luogo sospeso dove la vita e la morte si fronteggiano senza pietà. Sul pavimento di vetro incrinato, segno tangibile di una frattura ormai irreparabile, emerge un albero spoglio, bianco, illuminato da cristalli: fragile, spezzato, eppure ostinato. È da qui che prende il via il racconto di Gallione, una narrazione che ci trascina in un flashback viscerale e allucinato. La visione si scompone nel preludio, danzato da tre figure identiche a Violetta, con abiti bianchi macchiati di rosso, preannunciando il sangue e la passione che segnano la sua esistenza. Non c’è calore in questo mondo; la scenografia, firmata da Guido Fiorato, costruisce un ambiente sterile e glaciale, un bianco e nero che amplifica l’angoscia di un dramma già scritto. Il rosso, quando appare, è tagliente come una ferita, un richiamo visivo alla vita che si consuma e alla morte che avanza.


Nel secondo atto, parte seconda, la scena cambia, ma non la tensione. I pomi rossi, sparsi sul palco, sembrano frammenti di un paradiso fugace, fragile quanto i sacchi neri da cui cadono a terra, schiacciati sotto il peso delle invettive di Giorgio Germont. La carica visiva raggiunge nuove vette con le danze delle Zingarelle e dei Mattadori, avvolti in un’atmosfera intensa e seducente, con una teatralità che sfiora il sovrannaturale. Ogni movimento, ogni tonalità esprime una narrazione di declino, di speranze spezzate e di passioni negate. Il terzo atto ci riporta al punto di partenza, ma con un’intensità rinnovata. Violetta giace accanto all’albero abbattuto, mentre le luci si spengono lentamente, lasciando il palco in penombra. Sopra di lei, un soffitto a specchio riflette ogni cosa: non per rivelare, ma per amplificare il senso di disgregazione. La sua immagine riflessa sembra un’eco lontana di ciò che era, un’illusione che si spegne con lei. A invadere questo momento di intimità arriva il carnevale, una sfilata grottesca di scheletri con il cilindro e uccelli simili ai medici della peste. Lo scenografo Fiorato trasforma ogni elemento scenico in un simbolo vivo, una presenza che amplifica il dramma interiore di Violetta. I contrasti cromatici, il vetro che separa e riflette, l’alternanza tra gelo e passioni violente: tutto concorre a creare un’esperienza visiva di straordinaria intensità. Le luci sono curate da Luciano Novelli. La direzione musicale affidata al M° Renato Palumbo rappresenta uno dei punti di forza di questa produzione, offrendo un’interpretazione che esalta ogni dettaglio della partitura verdiana. Con una lettura precisa e sensibile, Palumbo riesce a far emergere l’ampio spettro emotivo che attraversa l’opera, mantenendo un equilibrio perfetto tra orchestra, coro e cantanti. Ogni frase musicale è curata con attenzione, ogni pausa e ogni crescendo diventano parte di un racconto che coinvolge lo spettatore fin dalle prime note.

Riportiamo dal libretto di sala: «... con La Traviata Verdi sceglie la strada della semplicità – spiega Renato Palumbo – semplice è la trama, semplice la scrittura musicale. Semplice, colloquiale, moderno e illuminato è il libretto di un ispirato Francesco Maria Piave, sicuramente marcato stretto però dall’implacabile Verdi. Dietro questa semplicità si nasconde un mondo meraviglioso fatto di solitudine, di passione e soprattutto di dolore. Il dolore affettivo ma anche il dolore fisico. Il dolore è quindi presente dalla prima all’ultima nota dell’opera. Il Direttore d'orchestra ha il difficile compito di narrare e creare quest’atmosfera ricercata da Verdi, pensando alla scrittura musicale ma soprattutto alla parola verdiana che in quest’opera diventa quella della quotidianità. Con la sua forza e, in questo caso, con i suoi grandi silenzi. Così sarà la mia lettura di Traviata, un omaggio al ricordo della breve e intensa vita di Marie Duplessis, cortigiana morta sola a Parigi il 3 febbraio del 1847, della quale Verdi più degli altri capì la sofferenza e che cercò di rendere immortale con un’opera perfetta.» La sua visione si traduce, dunque, in una direzione che riesce a sostenere con delicatezza i cantanti, offrendo loro un appoggio sicuro, senza mai sovrastare il dramma umano che si consuma sul palco.

   
L’amalgama tra la massa corale e l’orchestra si rivela impeccabile, creando un tessuto sonoro uniforme che amplifica il pathos della vicenda. Il risultato è un’interpretazione capace di rendere giustizia alla semplicità profonda e all’intensità emotiva che caratterizzano la partitura. Un cast di grande livello affolla il palco del teatro genovese regalando una recita di intense emozioni. Nel ruolo di Violetta Valéry, il soprano Carolina López Moreno offre un’interpretazione di grande spessore artistico, capace di restituire tutta la complessità del personaggio sia sul piano vocale che scenico. Con una voce piena e ben centrata, il soprano dimostra un’abilità tecnica notevole, modulando ogni frase con sensibilità e intelligenza interpretativa. Viene spesso detto che La Traviata richieda tre soprani diversi per affrontare le sfide dei tre atti, ma López Moreno smentisce questo luogo comune con una prestazione equilibrata e ponderata, frutto di una gestione accorta delle forze vocali. Nel primo atto si presenta convincente e incisiva, ma è negli ultimi due atti che la sua interpretazione raggiunge il massimo splendore. In particolare, nel terzo atto riesce a catturare il pubblico con mezze voci perfette, filati di rara bellezza e un controllo impeccabile dello strumento vocale, rendendo ogni momento musicale ricco di pathos e autenticità. La López Moreno non solo canta, ma “vive” Violetta, trasmettendo con intensità le emozioni di un personaggio che passa dall’euforia giovanile alla rassegnazione della malattia, fino alla tragedia finale. Completamente a suo agio nel ruolo di Alfredo Germont, il tenore Francesco Meli conferma ancora una volta di trovarsi in un territorio di elezione per la sua vocalità. Con una performance di livello, mette in risalto uno smalto vocale nitido e cristallino, caratterizzato da una brillantezza che cattura l’attenzione fin dalle prime battute. Il tenore genovese si distingue per un fraseggio raffinato, capace di donare profondità e sfumature al personaggio. Ogni parola e ogni nota sono curate con precisione, rendendo Alfredo non solo credibile sul piano tecnico, ma anche autentico e umano nella sua evoluzione emotiva. La facilità con cui affronta le difficoltà tecniche del ruolo, unita a un controllo impeccabile dell’emissione e a un’espressività intensa, consente a Meli di costruire un Alfredo affascinante e pieno di ardore giovanile. Con il baritono Roberto Frontali nel ruolo di Giorgio Germont, si raggiungono livelli di interpretazione di straordinaria raffinatezza. La sua esperienza si traduce in una performance che unisce tecnica impeccabile e profondità emotiva. L’artista dimostra un controllo assoluto del fraseggio, curando ogni dettaglio con meticolosa attenzione. Ogni accento, ogni parola scenica è scolpita con precisione, restituendo la complessità di un personaggio che si muove tra l’ipocrisia iniziale, dettata dalle convenzioni sociali, e il dolore autentico che affiora nel corso della vicenda. La sua interpretazione non si limita a eseguire la partitura, ma scava nelle pieghe emotive di Germont, rendendolo un uomo intrappolato nei propri conflitti interiori. La voce calda e avvolgente, si distingue per il controllo impeccabile e per una ricerca costante dell’intenzione drammatica. Ogni frase è carica di significato, trasformando il canto in un racconto profondo e coinvolgente. Ne risulta quindi un personaggio centrale, ricco di sfumature, in cui emerge un’intima umanità. La forza della sua interpretazione risiede nella capacità di fondere la grandezza vocale con un’intensa espressività, offrendo una lettura che esalta non solo il talento dell’artista, ma anche la profondità del personaggio. Nel quadro di una produzione già di alto livello, una schiera di comprimari di lusso arricchisce ulteriormente il cast, conferendo a questo allestimento una compattezza e una qualità complessiva encomiabili. Carlotta Vichi, nel ruolo di Flora Bervoix, si distingue per presenza scenica e vocalità ben calibrata, capace di dare vivacità al personaggio. Al suo fianco, Chiara Polese (Annina) offre una caratterizzazione tenera e partecipe. Francesco Milanese, nel ruolo del Dottor Grenvil, conferisce al suo personaggio un autorevole equilibrio, mentre Roberto Covatta, nei panni di Gastone, brilla per energia e vivacità, dando un tocco di leggerezza all’insieme. Claudio Ottino, impeccabile come Barone Douphol, trasmette con efficacia la freddezza e l’arroganza del suo personaggio. A completare questa solida squadra troviamo Andrea Porta (Marchese d’Obigny), Loris Purpura (Domestico di Flora), Giuliano Petouchoff (Giuseppe) e Filippo Balestra (Commissionario), tutti all’altezza dei rispettivi ruoli. Di grande spessore artistico anche la prestazione del coro, preparato e diretto con cura dal M° Claudio Marino Moretti, che si rivela un elemento fondamentale per il successo complessivo della produzione: la prova dei coristi si distingue per la compattezza delle voci e per una precisione esecutiva che esalta ogni passaggio della partitura verdiana. Grazie a una direzione attenta e scrupolosa, il coro non si limita a fare da sfondo, ma diventa un protagonista collettivo, capace di aggiungere profondità e forza emotiva alle scene. Teatro sold-out ed esito festante per tutti. (La recensione si riferisce alla recita del 19 gennaio 2025)

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il soprano Carolina López Moreno (Violetta Valery) Sotto in sequenza: il direttore Renato Palumbo; Carolina López Moreno; Roberto Frontali (Giorgio Germont) e Francesco Meli (Alfredo Germont); Carolina López Moreno e Francesco Meli; scena con Giorgio Germont, Violetta, Alfredo e l'albero caduto; Al centro in sequenza; la danza delle Zingarelle e dei Mattadori: Carolina López Moreno e Francesco Meli; Carlotta Vichi (Flora Bervoix) e Carolina López Moreno; ancora Carlotta Vichi; Roberto Frontali In fondo: i saluti finali del cast
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Personaggi
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Ferrara e Vivaldi connubio in musica
redatto da Edoardo Farina FREE
È il quarto anno consecutivo che il maestro Federico Maria Sardelli è presente nel cartellone musicale del Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Questa volta ha proposto al pubblico estense una Serenata a tre che è praticamente una pagina dimenticata del catalogo del "Prete Rosso". Sardelli è direttore d'orchestra, compositore,
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Vocale
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Serenata d'amore torna a cantare
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - La prima esecuzione assoluta in tempi moderni di una pagina musicale molto bella di Antonio Vivaldi, la Serenata a tre RV 690, ha richiamato nel Teatro Comunale "Claudio Abbado" un buon numero di spettatori ed estimatori della musica del "prete rosso", tanto da registrare praticamente il tutto esaurito. Ancora una volta il majeuta è
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Classica
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Il ritorno dei Cardelli
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il ritorno dei Cardelli. Sembra quasi il titolo di una saga, e tale parrebbe se si considerasse la regolarità con cui da un paio di lustri i recital solististici di Matteo (pianoforte) o di Giacomo (violoncello), nonché i concerti in Duo, fanno registrare una loro presenza nelle rassegne cameristiche di Ferrara. Stavolta, per gli appuntamenti dei
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Nuove Musiche
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Lo Specchio di Dioniso
servizio di Edoardo Farina FREE
FERRARA - Continua la ricca programmazione del Teatro Comunale “Claudio Abbado” luogo simbolo della tradizione culturale locale, nell’ambito della Stagione Opera & Danza 2024-2025 con in scena il decimo appuntamento dei quattordici previsti, Lo Specchio di Dioniso - Risonanze polifoniche erranti venerdì 21 marzo 2025 (replicatosi nella serata successiva)
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Opera dal Nord-Est
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Elektra nella Repubblica di Weimar
servizio di Simone Tomei FREE
VERONA – Nei fermenti intellettuali dei primi anni del Novecento, quando le teorie di Sigmund Freud e gli studi sull'isteria e sull'inconscio scuotevano le fondamenta del pensiero occidentale, il mito degli Atridi subì una profonda umanizzazione; il letterato e poeta Hugo von Hofmannsthal, reinterpretando la leggenda mitologica in chiave
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Opera dal Centro-Nord
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Norma da manuale
servizio di Simone Tomei FREE
FIRENZE - Dopo oltre quarantacinque anni di assenza, Norma torna a Firenze in un allestimento che non si limita a celebrare il capolavoro di Vincenzo Bellini, ma lo reinterpreta con una chiave scenica e musicale di forte impatto. La regia di Andrea De Rosa e la direzione del M° Michele Spotti plasmano uno spettacolo che, pur rispettando la tradizione
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Vocale
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Chansons e Canzonette un viaggio raffinato
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA - La domenica mattina può trasformarsi in un’oasi di rigenerazione, un momento in cui ricaricare le energie prima di affrontare una nuova settimana. Così è stato domenica 9 marzo 2025, quando il Primo Foyer del Teatro Carlo Felice di Genova ha accolto il pubblico per un raffinato appuntamento di musica da camera dal titolo
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Classica
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Musiciennes pronipoti delle veneziane
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Se a un gruppo di ottime musiciste si unisce una straordinaria violinista, il gioco è fatto: Jordi Savall, il direttore filologo specialista nella musica antica, non lesina mai sorprese (ogni volta che l'abbiamo ascoltato a Ferrara e in altri teatri o festival d'altre città, è sempre stato... sorprendente) anche stavolta non ha mancato di stupire:
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Eventi
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Bologna Festival programmi divulgativi
servizio di Athos Tromboni FREE
BOLOGNA - Presentato oggi nelle sale più bohèmienne che rustiche della Birreria Popolare della città felsinea il programma divulgativo di Bologna Festival, titolare anche del prestigioso calendario che va sotto il nome «Libera la musica» (i concerti di questa sezione del Festival fanno perno sulla presenza di "Grandi interpreti" che per il 2025 vedranno
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Opera dal Nord-Est
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Vecchio Barbiere sempre nuovo
servizio di Nicola Barsanti FREE
VENEZIA - Tornare al Teatro La Fenice per assistere a Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini in un’atmosfera gioiosa come solo il Carnevale di Venezia sa offrire, è un’emozione unica. Il pubblico, avvolto dalla magia della festa, accoglie con entusiasmo questa produzione che si conferma ancora una volta un successo. La regia tradizionale di
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Opera dal Centro-Nord
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L'orgiastico Rigoletto secondo Livermore
servizio di Nicola Barsanti FREE
FIRENZE - Il Rigoletto messo in scena da Davide Livermore al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino prende vita in un contesto scenico marcato da toni goliardici e, in alcuni momenti, quasi orgiastici. Al centro della scena, un letto monumentale diventa il fulcro attorno al quale si muove il Duca di Mantova, circondato da donne seminude che lo venerano,
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Opera dal Nord-Ovest
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Uno Chénier dalla travolgente energia
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA - Uno spettacolo che coniuga eleganza e incisività visiva, nitidezza narrativa e varietà stilistica: Andrea Chénier di Umberto Giordano al Teatro Carlo Felice si conferma un trionfo senza riserve. La regia di Pier Francesco Maestrini, già apprezzata nei prestigiosi allestimenti di Bologna e Monte-Carlo, si distingue per la sua fedeltà alla
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Ballo and Bello
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Giselle comme ci comme įa
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il Russian Classical Ballet diretto da Evgeniya Bespalova ha recentemente portato in Italia Giselle, uno dei capolavori più amati del repertorio romantico: le diverse città italiane toccate prima di Ferrara sono state Lecce, Catanzaro e Avezzano. Si tratta di un balletto in due atti, con musiche di Adolphe-Charles Adam (e Ludwig Minkus,
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Opera dal Nord-Ovest
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La Moreno grande Traviata
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA - Continua a riscuotere un grande successo di pubblico la stagione operistica del Teatro Carlo Felice con il quarto titolo in cartellone che rappresenta uno dei capolavori assoluti del repertorio lirico, nonché l’opera più rappresentata al mondo: La Traviata di Giuseppe Verdi. Inserire Traviata in stagione si è rivelata una
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Opera dal Nord-Est
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Ratto un po' in tedesco un po' in italiano
servizio di Rossana Poletti FREE
TRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. Ci sono innumerevoli questioni storiche ne Il Ratto del Serraglio (Die Entführung aus dem Serail) di Wolfgang Amadeus Mozart, in scena al Teatro Verdi di Trieste. C’è la questione del Turco. Soggetto di moda al tempo, perché la paura che fino a qualche tempo prima le invasioni ottomane avevano ingenerato
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Opera dal Centro-Nord
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Chénier un poeta al tempo del Terrore
servizio di Simone Tomei FREE
LUCCA - Al Teatro del Giglio "Giacomo Puccini" è andato in scena il capolavoro di Umberto Giordano Andrea Chénier un dramma che intreccia amore, ideali e morte. Ambientata nella Parigi rivoluzionaria tra il 1789 e gli anni del Terrore, l’opera racconta la struggente storia d’amore tra Maddalena di Coigny, una giovane aristocratica caduta in disgrazia
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Classica
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Saccon Genot Slavėk una meraviglia
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il Comitato per i Grandi Maestri fondato e guidato dal prof. Gianluca La Villa ha ripreso l'attività concertistica dopo alcuni mesi di pausa: saranno quattro gli appuntamenti fissati per la corrente stagione, il primo dei quali si è svolto ieri, 10 gennaio, nella sede che ospiterà anche gli altri appuntamenti: era la sala nobile del Circolo dei
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