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Ha preso il via al Palazzo De Andrč la trentacinquesima edizione del Ravenna Festival |
Mozart, Schubert e Muti un trionfo |
servizio di Athos Tromboni |
Pubblicato il 12 Maggio 2024 |
RAVENNA - E così l'11 maggio dentro un Palazzo De Andrè stipato di pubblico all'inverosimile (3500 posti a sedere la capienza dichiarata) è iniziata la trentacinquesima edizione del Ravenna Festival, quest'anno sulle corde d'una frase biblica, E fu sera e fu mattina..., sottotitolo della manifestazione mutuato dal più celebre "leitmotiv" della Genesi. Ovvio e addirittura scontato che ci fosse il pienone, visto che il concerto d'apertura vedeva sul podio dei mitici Wiener Philharmoniker il maestro Riccardo Muti in un concerto quanto mai accattivante: Mozart, Sinfonia n.35 in Re maggiore K385 "Haffner", e Schubert, Sinfonia n.9 in Do maggiore D944 "La Grande". Era l'ennesimo ritorno dei Wiener a Ravenna, dove negli anni oltre ai grandi concerti hanno anche suonato per l'opera, sempre Mozart, sempre Muti sul podio. I primi pullman e pullmini di spettatori avevano cominciato ad arrivare nel comodo e ampio parcheggio del Palazzo De Andrè già un paio d'ore prima delle 21, poi via via le automobili private, tanto che mezz'ora prima del concerto c'era una lunga fila davanti alla biglietteria. Poco disagevole - comunque - fare la fila, perché l'ottima organizzazione del botteghino riusciva a smaltire lo sbigliettamento, o il cambio delle prenotazioni nel biglietto d'ingresso, in maniera funzionale e celere (possiamo citare la proverbiale efficienza romagnola?... ma sì, citiamola). Dunque Palazzo stracolmo nell'imminenza del concerto, palco suggestivo con quell'ottantina di sedie ancora vuote, l'arpa, i timpani, la grancassa e le decine di microfoni per l'amplificazione (risultata poi misurata, equilibrata, perfetta). E applausi calorosi al giungere dell'orchestra, primo violino in testa, poi ovazioni al giungere di Riccardo Muti mentre l'orchestra, avendo già accordato gli strumenti, aspettava composta e in silenzio assoluto il giungere del maestro. Dopo il primo colpo di bacchetta sull' Allegro con spirito della Sinfonia "Haffner" di Mozart era palesemente chiaro quanto professori d'orchestra e maestro fossero vicendevolmente complementari, lui primus inter pares, perché Muti dava indicazioni d'attacco e passaggi da un tema all'altro e da una sonorità all'altra, in maniera essenziale, lasciando l'orchestra (e il primo violino) libera di procedere da sé; mentre egli, spesso sorridente, osservava con ironica e divertita compiacenza i musicisti impegnati nell'esecuzione.
Era poi significativo il gesto del direttore nell' Andante: la bellezza della musica, ma anche la sua corporalità, il suo farsi materia inafferrabile eppur concreta, era accompagnata dalla bacchetta tenuta quasi sempre orizzontale, all'altezza del bacino; e alzata verticale al livello delle spalle solo alcune volte per richiamare il contrappunto dei fiati e delle percussioni susseguenti alle frasi ruffiane degli archi; questo durante l'intero secondo movimento. Ma la mano sinistra no, la mano sinistra danzava davanti agli orchestrali accompagnando la melodia, abbassandosi per richiamare i pianissimi, stringendo il pugno per puntualizzare un accento, incitando, persuadendo, seducendo. Rimane sorprendente come un'orchestra sinfonica moderna composta da una ottantina di strumentisti possa avere trovato, sotto la direzione di Muti, quella leggerezza e trasparenza classica propria delle orchestre da camera più prestigiose quando eseguono Mozart con l'ensemble ridotto alle dimensioni previste dal compositore, e magari con strumenti d'epoca e il diapason abbassato. Va da sé che gli altri due movimenti della "Haffner" hanno completato in maniera egregia l'esecuzione: un Minuetto reso sinfonicamente solenne e soprattutto un Presto finale cavalcato in maniera irresistibile per tempi e dinamiche, anche là dove la citazione dell'aria di Osmino da Il ratto dal serraglio fa sorgere spontaneo il pensiero della pratica degli "imprestiti" che ogni compositore - chi più chi meno - ha praticato nel tempo. Veniamo dunque alla parte più impegnativa (forse) del concerto: la Sinfonia n.9 in Do maggiore D944 "La Grande" di Franz Schubert: ora, riteniamo che questa musica non si possa apprezzare appieno se non se ne conoscono le traversie. Ce le spiega - le traversie - Robert Schumann nel suo scritto sulla Sinfonia in Do maggiore di Schubert del 1840, dodici anni dopo la morte del compositore viennese. Citiamo testuale: «... Non lontano dalla città (di Vienna) si trova un cimitero, dove due dei più grandi spiriti dell'arte della musica riposano soltanto a pochi passi l'uno dall'altro. Come me, più d'un giovane musicista sarà andato al cimitero di Wäring per porre su quelle tombe un'offerta di fiori, fosse pur soltanto un mazzo di rose selvatiche, come ne ho trovato piantate vicino alla fossa di Beethoven. La tomba di Franz Schubert era disadorna... Tornando a casa mi venne in mente che viveva ancora un fratello di Franz Schubert, Ferdinand, che - come sapevo - Franz stesso aveva amato assai. Andai tosto da lui e lo trovai somigliante, più piccolo, ma saldamente complesso, e nell'espressione del suo viso si leggeva lealtà e musica in egual misura. Egli mi raccontò e mi fece vedere molte cose... infine mi fece vedere alcune composizioni (veri tesori!) del fratello Franz Schubert che ancora si trovavano nelle sue mani. La ricchezza che ivi giaceva ammucchiata mi fece fremere di gioia... Chi sa da quanto tempo anche la Sinfonia in Do maggiore di cui oggi parliamo, sarebbe rimasta coperta di polvere e nell'oscurità, se io non mi fossi tosto inteso con Ferdinand Schubert d'inviarla a Lipsia alla direzione del Gewandhaus ed all'artista stesso che colà dirige, al cui acuto sguardo difficilmente sfugge la più timida bellezza sbocciante, e perciò tantomeno quella splendida e magistralmente abbagliante. Così si realizzò la cosa...» Ora, se consideriamo che all'epoca della composizione della sua Nona Sinfonia, Franz Schubert era già malato di sifilide (e sarebbe morto poco meno di tre anni dopo), isolato dal mondo per vergogna del suo aspetto gonfio e con la pelle chiazzata, intento a meditare sulla grandezza della Nona Sinfonia di Beethoven alla cui prima esecuzione aveva partecipato, si ha un quadro emotivo da cui è nata la sua Sinfonia in Do maggiore denominata successivamente "La Grande". Ogni testo di musicologia, reperibile ovunque anche in rete, ne spiega i contenuti.
Poco da aggiungere in merito all'esecuzione dei Wiener Philharmoniker, se non che il climax è cambiato, passando dalla giocosa sinfonia-serenata mozartiana alla più complessa orditura della Sinfonia schubertiana, a volte spiritosa, ma per la maggior parte intensa e riflessiva e comunque "Grande". Ovazioni, alla conclusione del concerto, quando al seguito di interminabili applausi e più chiamate del direttore alla ribalta, lo stesso Muti ha preso in mano il microfono e ha comunicato che «... dopo l'esecuzione della Grande non ci può stare altro. Comunque in via del tutto eccezionale e per il legame che unisce i Wiener Philharmoniker a una città come Ravenna, concediamo un fuori programma...»: Kaiser Walzer di Johann Strauss jr. Naturalmente, trionfo. (La recensione si riferisce al concerto di sabato 11 maggio 2024)
Crediti fotografici: Zani-Casadio per il Ravenna Festival 2024 Nella miniatura in alto: il maestro Riccardo Muti Al centro: Muti sul podio dei Wiener Philharmoniker Sotto: panoramiche interno-esterno del Palazzo De Andrè di Ravenna
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